Matakam: i paleonegritici del nord Cameroun.

Nel 1960 il Cameroun ottenne l’indipendenza. Nel mese di Gennaio organizzammo una carovana di portatori per raggiungere i monti Mandara, situati a nord del paese, dove vivevano gruppi etnici paleonegritici: i Kapsiki, i Mofu, i Muktele, i Matakam, ecc.

Erano chiamati “kirdi” dai Fulbè, islamici della pianura, parola che significava “uomini senza fede”.

Desideravamo soprattutto documentare la vita dei Matakam, l’etnia più numerosa.

 

Credenze religiose
L’isolamento di questi gruppi etnici ha determinato il persistente mantenimento di una loro religione originaria, legata al culto degli antenati e degli spiriti. I Matakam credono in una divinità suprema che chiamano “Dzikile”.

In ogni capanna sono custoditi i “vray”, vasetti che racchiudono le anime degli antenati e ai quali vengono effettuate frequenti offerte: anche il sangue di animali sacrificati. Accanto ai “vray”, esistono anche i feticci protettori della casa e della corte, semplici oggetti: un vaso spezzato, un mucchietto di pietre, ossa di animali.

Tra i Matakam sono presenti anche individui capaci di conoscere avvenimenti futuri. L’oroscopo più diffuso è quello “del granchio”: l’uomo trae gli auspici interpretando la disposizione di simboli di legno che l’animale, introdotto in un recipiente pieno di sabbia bagnata, sposta casualmente.

Abbigliamento
Gli uomini Matakam osservano la completamente nudità, limitandosi in alcune occasioni a coprirsi le spalle con una pelle di montone. Talvolta portano borse di cuoio, chiamate “goajem” che servono a custodire l’acciarino e altri piccoli oggetti. 

Le donne indossano, all’altezza del pube, un triangolo di cotone o di metallo e, a seconda dei gruppi, sbarrette metalliche che hanno funzione ornamentale anche se i Matakam ritengono che il tintinnio metallico serva ad allontanare e impedire che gli spiriti malevoli entrino dagli organi genitali femminili provocando aborti o la nascita di bambini malformati.

Alimentazione
Alla base dell’alimentazione dei Matakam ci sono il sorgo e il miglio coltivati in piccoli appezzamenti di terreno sostenuti da pietre a secco per impedire che la terra venga portata a valle dalle piogge.

Allevano animali da cortile: magre galline e qualche capra e pecora.

 

Si cibano anche di tutto ciò che l’ambiente può fornire loro: bacche, frutti selvatici e non disdegnano le larve delle termiti e i piccoli topi che vivono tra le stoppie e che i bambini catturano con trappole di paglia a forma di nasse.

Coltivano anche foglie di tabacco che fumano (anche le donne) in pipe di ferro o d’argilla.

Consumano una bevanda alcolica lo “zom”, una sorta di birra ottenuta dalla fermentazione del miglio, dal sapore acre.

Le abitazioni
Le capanne sono circolari col tetto di paglia a forma conica e gli ingressi sono protetti da feticci. Numerosi i granai, talvolta di grandi dimensioni, simili a giare di fango. Le abitazioni non hanno finestre verso l’esterno, sono dotate di un unico ingresso basso e stretto per impedire l’accesso agli spiriti malevoli. Ogni ambiente ha la sua funzione.

C’è la capanna del capo famiglia, lo “zao-zao”, poi la capanna degli ospiti, quella delle mogli e dei bambini. Ci sono anche la cucina, la stalla per le capre e le stie delle galline. Il tutto dà origine a una specie di labirinto semibuio. Il mobilio è inesistente se si eccettuano i letti: semplici assi di legno.

In un serbatoio d’argilla custodiscono la cenere dei focolari. Viene bagnata con acqua che scioglie i sali contenuti. Lo scuro liquido prodotto è utilizzato per insaporire i cibi.

Musica e strumenti musicali
I Matakam usano strumenti musicali, come il “ ganzavar”, la chitarra a cinque corde, il flauto ricavato da un corno d’antilope e il tam-tam.

Significative sono le melodie pastorali suonate con un flauto d’argilla e i canti funebri accompagnati dal ritmo lento di un grande tamburo. Notevoli sono anche i canti di guerra Matakam, dove gli uomini danzano mostrando il “senghese”, un lungo coltello da lancio ricurvo, arma da guerra e da caccia. Durante le feste viene suonato un tamburello a forma di clessidra il “deleleo”, che il suonatore tiene stretto sotto il braccio.

L’altoforno e il ferro
Per ottenere il ferro necessario per costruire utensili agricoli, zappe, falcetti per la mietitura, i “goaza”, le punte di freccia, ecc., i Matakam usano la magnetite, un ossido di ferro.

L’altoforno, una torre d’argilla alta sovente oltre due metri, permette di svolgere il processo siderurgico che inizia introducendo, su un fuoco di carbone di legna, l’ossido di ferro portato poi alla massima temperatura dall’aria sotto pressione immessa tramite mantici di pelle di capra.

Un’attività metallurgica che si protrae per ore e contempla lo svolgimento di numerosi atti magici. Quando l’altoforno viene aperto escono le scorie di fusione tra le quali sono estratti pezzetti di ferro successivamente fusi e lavorati per produrre gli utensili definitivi.

Nascita
Presso i Matakam la moglie del fabbro è normalmente la levatrice del villaggio. Al sopraggiungere delle doglie la partoriente si siede su un masso di granito scuro. E’ un luogo sacro ricco di valenze positive. Talvolta, quando il parto si prolunga, viene ucciso un pulcino e il sangue fatto colare sul ventre della donna. La levatrice ritiene che il sangue del pulcino richiamerà il sangue del parto.

La madre partorisce seduta. Poi la puerpera, succhiando, libera dal muco le vie respiratorie del neonato e lo bagna con un filo d’acqua che spruzza dopo averla tenuta in bocca per intiepidirla.

Un rito particolare conclude il parto: la placenta, raccolta in un vaso, viene seppellita lontano da occhi indiscreti. Per i Matakam la placenta è il doppio del neonato, una specie di gemello. Impossessarsi della placenta vuol dire possedere anche il corpo e la mente del bambino e poter agire negativamente contro di lui.

Dopo il parto la madre resterà chiusa nella sua capanna per quattro giorni assistita dalla levatrice. Al termine del periodo di segregazione il neonato verrà portato all’esterno, mostrato agli abitanti del villaggio e gli verrà imposto il nome.

Morte
La morte è sempre un avvenimento traumatico per i Matakam. Il defunto deposto sul suo letto di legno viene visitato dagli abitanti del villaggio. Ha poi inizio la vestizione della salma con bande di cotone. Fa seguito un pasto funebre che viene consumato dai presenti davanti al defunto.

Infine la salma, posta a cavalcioni sulle spalle di un uomo, viene portata fuori dalla capanna. Circondato dai pianti e dal suono del tamburo funebre viene trasportata sulla cima di un’altura e viene inumata in una tomba a pozzo, composta in posizione fetale.

Presso il Museo Castiglioni è possibile scoprire straordinari reperti etnologici ed archeologici.

Tutte le immagini fotografiche, i disegni e i testi di questo articolo sono di proprietà esclusiva dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Qualsiasi riproduzione, anche se parziale, è vietata. Per ricevere autorizzazione all’utilizzo si prega di contattare il Museo Castiglioni.

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