MUSEO CASTIGLIONI

Un affascinante viaggio tra archeologia e etnologia,
tra deserto e savana, tra mito e realtà.
Un’esperienza indimenticabile raccontata con reperti unici.

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ORARIO

Informiamo il pubblico che il Museo Castiglioni effettua il seguente orario di apertura:

Giovedì e Venerdì  | 14:00 – 19:00

Sabato e Domenica | 10:00 – 13:00 e 14:00 – 19:00

La biglietteria chiude alle 18.

Altre informazioni su prezzi e visite guidate sono disponibili cliccando qui

ANGELO E ALFREDO CASTIGLIONI

Il Museo Castiglioni nasce grazie alla donazione, alla città di Varese, di migliaia di preziosi reperti da parte dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni che, per 60 anni, hanno condotto missioni di ricerca e documentazione etnologica e archeologica soprattutto in Africa.
Clicca e scopri le origini del Museo Castiglioni

Il Museo Castiglioni è nato dalla donazione, alla Città di Varese, di migliaia di preziosi reperti da parte dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni.
Per sessanta anni i gemelli Castiglioni hanno condotto missioni di ricerca e documentazione etnologica e archeologica soprattutto in Africa. In questo lungo periodo hanno avvicinato numerosi gruppi etnici, tecnologicamente arretrati. A titolo d’esempio ricordiamo:

– le popolazioni paleonegritiche del Nord Cameroun: Matakam, Mofou, Kapsiki ecc, e i Sombas dei monti Atakora del Togo. Presso queste popolazioni soggiornarono a lungo nel lontano 1959;
– le popolazioni nilotiche dell’alto Nilo Bianco (Mundari, Dinka, Nuer, ecc) e le popolazioni di foresta (i pigmei del Gabon, gli Ewe’ e i Fon, stanziati nell’area equatoriale del Golfo di Guinea).

Durante le spedizioni, nei deserti, nelle savane, nelle foreste e sui monti africani, i gemelli Castiglioni non solo hanno raccolto e catalogato oggetti della vita materiale e religiosa dei vari gruppi etnici, ma hanno anche realizzato precise documentazioni foto-cinematografiche. Documenti ormai irripetibili che fanno parte del patrimonio museale e che permettono ai visitatori di “immergersi” in uno mondo lontano e ormai scomparso.

Le loro ricerche sono state stimolate e guidate dalle parole di un famoso poeta e uomo di cultura africano, già Presidente del Senegal: Leopold Sedar Sehghor, il quale ha lasciato questa mirabile esortazione: “Uomini bianchi andate negli sperduti villaggi della mia terra e documentate le parole dei cantastorie, dei vecchi, di tutti i depositari di un antico sapere umano, perché quando essi moriranno sarà come se, per voi uomini bianchi, bruciassero tutte le biblioteche”. Parole di notevole forza emotiva che i Castiglioni hanno fatto loro e che li hanno sempre guidati nelle loro missioni di studio.

La direzione del Museo Castiglioni è così composta:

DIREZIONE SCIENTIFICA:
Prof. Serena Massa – Archeologa. Docente del Corso di catalogazione dei reperti archeologici presso la cattedra di archeologia e storia dell’arte greca e romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

COMITATO SCIENTIFICO:

Dott. Angelo Castiglioni – Etnologo, Antropologo, Archeologo, Scrittore, Cineasta, Documentarista

Prof. Alessandro Roccati – Archeologo, Egittologo. Professore Emerito di Egittologia dell’Università di Torino

Prof. Giovanna Salvioni – Antropologa, Etnologa. Docente di Antropologia Culturale, facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Prof. Serena Massa – Archeologa. Docente del Corso di catalogazione dei reperti archeologici presso la cattedra di archeologia e storia dell’arte greca e romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Clicca e scopri la storia dei fratelli Castiglioni

Nati a Milano il 18 marzo 1937 i fratelli gemelli Angelo e Alfredo Castiglioni si sono dedicati, fin dall’età di 19 anni, alla ricerca e alla scoperta.

In sessant’anni di missioni, soprattutto nel continente africano, hanno effettuato importanti ritrovamenti archeologici e realizzato una accurata documentazione di usi e costumi di gruppi etnici ormai scomparsi o che stavano perdendo le loro originarie basi culturali.

Di seguito alcune fra le loro più importanti ricerche.

Nel 1959 effettuano dettagliati studi etnologici sulle popolazioni paleonegritiche (Mofu, Matakam, Kapsiki) dei Monti Mandara, nel Nord Camerun, partecipando al censimento di questi gruppi etnici.

Dal 1959 al 1969 svolgono ricerche sulla medicina tradizionale (etno-medicina) e sui riti di iniziazione di diversi gruppi etnici del Golfo di Guinea (Bobo Oulé) e del Bacino del fiume Congo (Mandja).

Nel 1960 in Equatoria (sud Sudan), ripercorrono parte degli itinerari di alcuni esploratori italiani (Carlo Piaggia, Giovanni Miani) che circa un secolo prima fecero conoscere il Continente Nero al mondo occidentale. Soggiornano per tre mesi nei “kraal” (accampamenti sommari) dei Mundari, l’etnia descritta da questi esploratori, constatando l’immutabilità dei loro costumi negli ultimi cento anni. Realizzano, tra l’altro, un’accurata indagine sui metodi di caccia di questa popolazione che verranno in seguito messi a raffronto con quelli preistorici, raffigurati sui graffiti del Bergiug in Libia.

Dal 1960 al 1962 effettuano numerose missioni di studio presso i Tuareg d’Algeria, Niger, Mali e Tchad, constatando che, anno dopo anno, queste popolazioni modificavano e perdevano la loro originaria cultura materiale. Per questo motivo acquisiscono, nell’Air, una tenda completa di questa etnia, ora ammirabile in una sala del museo. Durante una di queste missioni recuperano i resti di una carovana Targhi (singolare di Tuareg) morta di sete, che è stata ricostruita in una delle sale del museo.

Nel 1968 iniziano studi etnologici sui Nilo-Camiti (nilotici meridionali) che si concluderanno nel 1988. Durante queste missioni fanno eseguire da “parrucchieri” locali, le elaborate acconciature caratteristiche di queste etnie. Queste realizzazioni, posizionate su busti di terracotta appositamente modellati da uno scultore milanese nel rispetto delle norme dell’antropologia fisica, sono esposte nella sala del museo dedicata a queste popolazioni. Durante lo stesso periodo acquisiscono, sovente con il baratto, abbigliamenti, armi, oggetti di uso quotidiano dei Nilo-Camiti. Sono oggetti che si trovano fra i tanti preziosi reperti presenti nel museo.

Nel 1970 effettuano un’indagine etnografica sui Borana, una popolazione dell’Etiopia meridionale, riportando notizie inedite su questo gruppo etnico e sulla gestione delle loro risorse idriche. Il documentario su questa ricerca, presentato alla 21a Rassegna Internazionale del Cinema Archeologico di Rovereto (4-9 ottobre 2010), si classifica al secondo posto su un centinaio di film realizzati da oltre 20 nazioni.

Nel 1977 effettuano una spedizione di 2500 chilometri attraverso il Sahara del Mali e del Niger percorrendo la valle dell’Azaouak e il sud Teneré, territori allora poco conosciuti. Trovano e classificano numerosi paleosuoli e un vasto deposito di resti di dinosauri.

Nel 1982 compiono una ricerca sui graffiti preistorici della Valle del Bergiug, nel Sahara libico sud occidentale, risalenti a 10/12.000 anni fa. I calchi delle incisioni rupestri sono stati esposti nell’ambito del XXVI Festival dei due Mondi di Spoleto ed ora fanno parte del patrimonio del nuovo museo. Reperti unici e straordinari.

Nel 1984 raggiungono, con una carovana di muli, un’etnia allora poco conosciuta, i Tid dei monti Cormà, in Ethiopia e realizzano, tra l’altro, anche un accurato studio sull’alimentazione di questa popolazione.

Nel 1985 compiono un viaggio di ricerca sulle miniere di smeraldo del Jebel Sikeit e del Jebel Zabarath in Egitto, effettuando un’accurata documentazione cine-fotografica dei templi rupestri tolemaici e degli insediamenti dei minatori. L’analisi effettuata dal CNR di alcuni frammenti di smeraldi recuperati in loco, confermano che le pietre incastonate nei gioielli delle matrone romane, provenivano da queste miniere. Durante questa missione svolgono anche un’indagine sulle cave della pietra di “beken”, fotografando rappresentazioni e graffiti egizi, alcuni dei quali sono scomparsi a causa di furti archeologici.

Il 12 febbraio 1989 ritrovano l’antica città mineraria di Berenice Panchrysos, citata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Il ritrovamento è stato giudicato da Jean Vercoutter (egittologo francese, pioniere della ricerca archeologica in Sudan) “una delle grandi scoperte dell’archeologia”.

Da gennaio 1989 a marzo 1994 effettuano missioni esplorative nel deserto nubiano orientale sudanese, catalogando circa cento insediamenti minerari e determinando il periodo di sfruttamento aurifero della regione, da epoca egizia al periodo medievale islamico. Alcuni utensili litici per la lavorazione del quarzo aurifero, recuperati nel corso di queste missioni, sono esposti nel nuovo museo. Effettuano inoltre scavi archeologici di alcuni monumentali tumuli a piattaforma circolare con un diametro sovente superiore ai 15 metri. Nel cratere di Onib (El Hofra) trovano circa 40 di questi tumuli, forse la necropoli reale dei Beja preislamici.

Nel febbraio 1993 scoprono nel wadi Elei, nel Deserto nubiano Orientale, diverse tombe preistoriche datate intorno al 4500 a.C., dove riscontrano aspetti particolari non presenti in altre tombe della stessa epoca, e numerose strutture circolari di pietra indicanti la presenza di un grande villaggio risalente ad una nuova cultura preistorica che denominano “dell’Elei” dal nome del wadi.

Nel 1996 partecipano ad una missione nel deserto libico orientale con G.Carlo Negro, Luigi Balbo ed altri ricercatori, per studiare e classificare il “silica glass” , il “vetro delle stelle”. Si ritiene infatti che questo prezioso minerale sia stato originato da un corpo celeste (forse una cometa) entrato nell’atmosfera terrestre circa 28,5 milioni di anni fa, esplodendo prima di toccare la superficie del deserto. La temperatura elevatissima causata dalla deflagrazione provocò la fusione del quarzo contenuto nella sabbia di allora creando il “silica glass” o LDSG (Lybian Desert Silica Glass) che, quindi, è vetro naturale con il 98 per cento di silice. Lo scarabeo (khepri) incastonato nel pettorale del faraone Tutankamon è di questo minerale. Frammenti di silica glass sono esposti in una vetrina del museo.

Nel 1997 trovano, nel Deserto Occidentale egiziano, numerosi resti ossei umani e alcuni reperti riferibili all’antica dinastia persiana degli Achemenidi. Questa scoperta fa presupporre il ritrovamento delle prime tracce dell’Armata perduta di Cambise II (529-522 a.C.), descritta dallo storico greco Erodoto nella sua opera “Storie”.

Nel 2001, scoprono numerose iscrizioni geroglifiche che consentono di individuare la pista di conquista della Nubia attraverso il deserto, percorsa dalle armate dei faraoni. Una penetrazione militare che iniziava a Korosko, città ora scomparsa sotto le acque del Lago Nasser, e raggiungeva la stele di confine di Kurgus che segnava il limite meridionale delle terre africane conquistate da Thutmose I e da Thutmose III, faraoni della XVIII dinastia. Durante questa missione individuano anche “la pista dei pellegrini”, segnalata da numerosi graffiti di carovane di dromedari, che dal Nilo conduceva al Mar Rosso e alle Città Sante del Credo islamico.

Dal 2004 al 2008 effettuano una raccolta sistematica di frammenti ceramici preistorici del deserto nubiano orientale, posizionando su una carta satellitare le zone di recupero che hanno consentito, tra l’altro, di individuare gli spostamenti delle popolazioni mesolitiche nella regione.

Nel 2005 basandosi su un’iscrizione geroglifica della VI dinastia, percorrono l’itinerario, attraverso i monti di Irtjet, compiuto dal principe Harkhuf per conto del faraone Pepi II (2246-2152 a.C.) fino alla terra di Iam.
Sempre nel 2005 trovano e documentano la pista medievale islamica segnata da “alamat” – costruzioni di pietra eretti per indicare alle carovane la giusta direzione – dal Nilo alla zona aurifera di Wawat.

Nel 2006 effettuano una missione nel centro del deserto nubiano sudanese per determinare le zone di quarzo aurifero sfruttate dall’Egitto faraonico e quelle di dominio del Regno di Kerma. In collaborazione con l’accademico di Francia Charles Bonnet valutano il materiale raccolto e presentano i risultati di questa ricerca alla Conferenza Internazionale di Studi Nubiani presso L’Università di Varsavia (27.8 – 2.9.2006) e alla Sociéte Francaise d’Egyptologie (Parigi, 12.10.2007).

Dal 30 ottobre al 19 novembre 2007 organizzano, con Derek A. Welsby del British Museum di Londra, una missione di recupero di alcuni massi con graffiti preistorici destinati a scomparire sotto le acque del lago creato dalla diga di Merowe costruita all’altezza della 4ª cateratta sul Nilo. Sono stati salvati 54 massi e il basamento di un piramide kushita. Tre di questi graffiti sono attualmente conservati presso il Museo Civico di Rovereto.

Nel 2008 ritrovano le miniere d’oro della terra di Amu citata nella “lista delle miniere” che il faraone Ramesse II (1279-1212 a.C) fece scrivere nel tempio di Luxor, insediamento del quale non si conosceva l’ubicazione.

Dal 2011 hanno iniziato una serie di missioni archeologiche in Eritrea per portare alla luce il sito di Adulis, uno dei più importanti antichi porti del Mar Rosso. L’insediamento, fondato probabilmente durante il Regno di Axum, ha avuto rapporti commerciali con i Tolomei e l’Impero romano. È ipotizzabile che l’area su cui sorgeva Adulis sia la mitica Terra di Punt citata in numerosi testi dell’Antico Egitto.

Sono fondatori dell’associazione “Ce.R.D.O.” (Centro Ricerche sul Deserto Orientale) e sono membri del Sudan Archaeological Research Society di Londra, della Società Internazionale di Studi Nubiani e dell'”IICE” (Istituto italiano per la civiltà egizia).

I fratelli Castiglioni hanno pubblicato 16 libri e realizzato 5 lungometraggi, nonché numerosi documentari di divulgazione archeologica e hanno scritto articoli per diverse riviste di archeologia e di ricerca scientifica (Archeologia Viva, Archeo, Egyptian Archaeology, The Sudan Archaeological Research Society, Bulletin de la Société Francaise d’Egyptologie, ecc).

Bibliografia
• Africa Ama, ed. Sugar, Milano 1972;
• Addio, Ultimo Uomo, ed. Rusconi, Milano, 1977 (classificato al secondo posto al premio Bancarella, 1978);
• Adams Schwarze Kinder ed. Schweizer Verlagshaus, Zurigo 1978;
• Dall’Acqua all’Acqua, ed. Lativa, Varese 1978;
• Venere Nera, ed. Lativa, Varese 1985;
• Fiumi di Pietra, ed. Lativa, Varese 1986;
• Lo Specchio Scuro di Adamo, ed. Lativa, Varese 1987;
• Babatundé, ed. Lativa, Varese 1988;
• Ultime Oasi nella Foresta, ed. Lativa, Varese 1989;
• Madre Africa, ed. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995;
• L’Eldorado dei Faraoni. Alla scoperta di Berenice Pancrisia, con Jean Vercoutter ed. De Agostini, Novara 1995;
• La Città Fantasma, ed. Lativa, Varese 2002;
• Nubia. Magica terra millenaria, ed. Giunti, Firenze 2006.
• C’era una volta l’Africa, ed. White Star, Vercelli 2010.
• Quarantanove racconti d’Africa, ed. Nomos, Busto Arsizio 2012.
• Ricordi d’Africa, ed. Lativa, Varese 2013.

Filmografia
• Africa segreta, CEIAD Columbia Italia – 1969
• Africa ama, ed. PEA, Roma – 1971
• Magia nuda, ed. PEA, Roma (con il commento di Alberto Moravia) – 1976
• Addio ultimo uomo, ed. PEA, Roma (con il commento di Vittorio Buttafava) – 1978
• Africa dolce e selvaggia, Roma, DiFilm (con il commento di Guglielmo Guariglia) – 1982

Premi e onorificenze
• 4 dicembre 1991: Medaglia d’oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte – Presidente della Repubblica;
• Paul Harris Fellow – fondazione Rotary International
• 1991: Ambrogino d’oro – Comune di Milano
• 1991: Lumen Claro – fondazione Lions, Varese-Prealpi
• 1993: Louis De Clercq – Accademia di Francia
• 1996: Medaglia d’oro per meriti culturali – Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura
• 2005: Sigillo Longobardo – Regione Lombardia

 

NEWS: Menzione Speciale "Helena Vaz da Silva European Award" ad Angelo Castiglioni

Varese, 17 luglio 2019

Angelo e Alfredo Castiglioni, etnologi, archeologi, scrittori e documentaristi italiani, sono stati insigniti della Menzione Speciale nell’ambito del premio europeo “Helena Vaz da Silva” 2019.

Questo alto riconoscimento europeo per meriti nel campo dei beni culturali, nato con lo scopo di sensibilizzare il pubblico, rende omaggio al contributo unico e originalissimo che i fratelli Castiglioni hanno dato alla diffusione della cultura scientifica in modo innovativo e con grandi capacità divulgative. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 25 novembre presso la Fondazione Calouste Gulbenkian a Lisbona.

Il premio europeo “Helena Vaz da Silva” è stato istituito nel 2013 da Europa Nostra per il tramite dalla sua rappresentanza nazionale in Portogallo, Centro Nacional de Cultura, in collaborazione con il Clube Português de Imprensa. Tra i precedenti vincitori del premio “Helena Vaz da Silva” sono annoverati lo scrittore italiano Claudio Magris (2013), lo scrittore turco e premio Nobel Orhan Pamuk (2014), il musicista e direttore d’orchestra spagnolo Maestro Jordi Savall (2015), il vignettista francese Jean Plantureux, noto come Plantu, e il filosofo portoghese Eduardo Lourenço (ex aequo, 2016), il regista tedesco Wim Wenders (2017) e, nel 2018, la storica e autrice giornalistica Bettany Hughes.

Il Premio europeo per la sensibilizzazione del pubblico sui beni culturali prende il nome da Helena Vaz da Silva (1939-2002), giornalista portoghese, scrittrice, attivista culturale e personalità politica, per ricordarne e riconoscerne il notevole contributo alla promozione del patrimonio culturale e degli ideali europei. Viene conferito ogni anno a cittadini europei la cui carriera si è distinta per attività che diffondono, difendono e promuovono il patrimonio culturale europeo in particolare attraverso opere letterarie o musicali, notizie, articoli, cronache, fotografie, cartoni animati, documentari, film e programmi radiofonici e/o televisivi.

La Menzione Speciale, ricordando anche il fondamentale ruolo del fratello gemello Alfredo scomparso nel 2016, è stata assegnata ad Angelo Castiglioni come riconoscimento per gli oltre sessant’anni di esplorazioni e spedizioni etnografiche e archeologiche effettuate soprattutto nel continente africano. I risultati di queste missioni sono stati pubblicati in numerosi libri, in film e in preziosi documentari, che costituiscono testimonianze uniche degli usi e delle tradizioni di gruppi etnici che, attualmente, stanno sempre più modificando e perdendo le loro basi culturali.

Anche in campo archeologico i fratelli Castiglioni si sono distinti effettuando scoperte e ricerche di grandissimo rilievo come il ritrovamento di Berenice Panchrysos, il 12 febbraio del 1989 nel Deserto Nubiano Sudanese. Città citata da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia e giudicata da Jean Vercoutter, egittologo Accademico di Francia, “una delle grandi scoperte dell’archeologia”. Non meno importanti gli scavi iniziati dieci anni fa in Eritrea che stanno riportando alla luce l’antica città portuale di Adulis. Scavi a cui oggi partecipano cinque università italiane grazie anche al supporto del Ministero degli Affari Esteri.

La collaborazione dei fratelli Castiglioni con il British Museum, l’Accademia di Francia, l’Istituto Francese di Archeologia Orientale, l’Università La Sapienza di Roma, il Museo Egizio di Torino, ha prodotto contributi in numerose pubblicazioni, che esprimono l’eccellenza della scienza e della cultura europea nella metodologia delle indagini etnologiche e archeologiche.

I risultati delle ricerche di Angelo e Alfredo Castiglioni sono esposti al pubblico nel Museo Castiglioni, nato dalla donazione al comune di Varese di reperti archeologici ed etnografici raccolti durante le loro spedizioni.

Il premio 2019 è stato conferito all’italiana Fabiola Gianotti, fisica e prima donna nominata Direttore generale del CERN (Organizzazione europea per la ricerca nucleare). Altra Menzione Speciale è stata riservata al Direttore del Royal Danish Theatre, Kasper Holten.

 

MOSTRA TEMPORANEA

K2

Un’impresa italiana 1954-2024

dal 25 Maggio 2024 al 6 Gennaio 2025

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Clicca e scopri di più sulla mostra temporanea

In occasione del 70° anniversario della conquista del K2 da parte dell’Italia, verrà inaugurata, il 25 maggio presso il Museo Castiglioni di Varese, alle ore 17:30, la mostra temporanea «K2: un’impresa italiana».
Il percorso espositivo è frutto di una articolata ricerca durata due anni da parte del curatore Luigi Pizzimenti che, con passione, impegno e caparbietà, ha raccolto oggetti originali della spedizione, ha riprodotto, in collaborazione con le aziende che hanno dato il supporto tecnico all’impresa, le attrezzature e gli strumenti utilizzati nel 1954 e ha ricostruito ogni singolo momento che ha preceduto, accompagnato e seguito la conquista della seconda vetta al mondo.
La mostra, che si appresta ad essere la più completa finora realizzata, ripercorrerà l’intera vicenda della vittoriosa scalata che ha legato per sempre il nome dell’Italia al K2 e porterà il visitatore a rivivere le vicende umane ed alpinistiche che hanno consentito la difficile ascesa attraverso reperti originali, documenti, fotografie, filmati, ricostruzioni, un diorama del campo base e un libro/catalogo che riporta materiale inedito della spedizione proveniente dall’archivio di Ugo Angelino.
La spedizione italiana nel Karakorum, voluta e organizzata dal prof. Ardito Desio, verrà raccontata in tutte le sue fasi a partire dalla preparazione tenutasi, tra gennaio e febbraio del 1954, sul Monte Rosa e sul Plateau Rosa, ai piedi del Piccolo Cervino, dove fu allestita una base sperimentale per il collaudo di attrezzature ed equipaggiamenti, per passare alla partenza e all’arrivo in Pakistan, ai primi campi, alla conquista della vetta, alle ore 18.00 del 31 luglio, alla discesa fino ad arrivare al trionfale rientro in Italia della spedizione. Non mancherà anche un focus sui primi 5 tentativi di varie nazioni che sono falliti compreso quello del 1909, compiuto dalla spedizione italiana guidata da Luigi Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, a cui partecipò anche il grande fotografo Vittorio Sella, che aprì la via di salita lungo lo sperone est della montagna, nota ancor oggi come Sperone degli Abruzzi.
Il percorso espositivo alternerà momenti di spettacolarità attraverso fotografie e filmati legati all’impresa ad altri più riflessivi in cui il visitatore potrà soffermarsi ad osservare da vicino appunti, telegrammi, lettere e documenti mai esposti prima, che ripercorreranno i momenti più importanti della missione. Saranno esposti anche i materiali tecnici quali le celeberrime tende arancioni, gli indumenti progettati appositamente per quelle altitudini come scarponi, tuta, occhiali, la piccozza, le bombole per l’ossigeno gentilmente messe a disposizione da Fondazione Dalmine e le corde in nylon Gottifredi Maffioli che furono fondamentali per attrezzare la via di salita.
Interessante per il visitatore sarà anche poter osservare le attrezzature degli anni Cinquanta quali sci, abbigliamento, ciaspole, corde e ramponi, macchine fotografiche e cineprese e una macchina da scrivere “Olivetti Lettera 22” utilizzata dal Prof. Ardito Desio per scrivere gli ordini di servizio. Inoltre i chiodi da roccia utilizzati dai nostri alpinisti e il piumino che imbottiva i giacconi prodotti appositamente per la scalata del K2 dalla Molina di Cairate e gentilmente prestati dall’avv. Massimo Palazzi, Presidente del Museo della Società Gallaratese per gli Studi Patri.

L’esposizione, oltre a far rivivere l’impresa del ’54, vuole anche essere il ricordo di uomini che hanno fatto la storia dell’alpinismo e del nostro Paese. La conquista del K2, infatti, ebbe in quegli anni una importante valenza sociale e nazionale, diventando il simbolo di un’Italia che si riallineava alle grandi potenze europee dopo la disfatta della Seconda Guerra Mondiale. La nostra nazione sbalordì il mondo intero espugnando una cima che, fino ad allora, aveva respinto numerosi scalatori provenienti da potenze ben più ricche ed organizzate della nostra. L’Italia stava spiccando il suo “volo del calabrone” e l’impresa dei nostri alpinisti contribuì a diffondere nell’animo dei connazionali la consapevolezza che eravamo in grado di raggiungere grandi obiettivi. Il recupero della memoria storica di vicende di un passato non troppo remoto che hanno, ormai, pochi testimoni diretti ma che non sono ancora entrate nei programmi scolastici appare, in quest’epoca storica di grandi competizioni a livello globale, quindi più importante che mai per far conoscere alle generazioni più giovani le grandi sfide che da sempre il nostro paese è stato in grado di affrontare e le capacità che ha saputo mettere in campo. Importante in questo senso l’apporto alla mostra della Fondazione Sella, fondata nel 1980, che conserva e valorizza un vasto archivio documentario e iconografico con l’obiettivo di custodire responsabilmente il patrimonio storico-culturale rendendolo accessibile come bene comune e il patrocinio della sezione di Varese del Club Alpino Italiano che assieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche, all’Istituto Geografico Militare e allo Stato italiano, promosse l’impresa del 1954.

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