La pista degli "alamat"

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La spedizione punitiva
Negli anni tra l’820 e l’830 d.C, una spedizione punitiva degli arabi contro i nomadi Beja che, dopo aver assalito e saccheggiato alcuni villaggi della valle del Nilo, si erano rifugiati nel deserto, di cui da sempre erano gli incontrastati padroni, portò gli arabi alla scoperta delle antiche miniere d’oro del deserto nubiano, soprattutto quelle della ricca regione aurifera di Wawat.

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La corsa all’oro
A quell’epoca le antiche miniere d’oro (faraoniche, tolemaiche) erano da molto tempo abbandonate e anche il loro ricordo si era perso nel corso dei secoli. Questa scoperta scatenò da parte degli arabi una vera e propria “corsa all’oro”, la prima di cui si ha notizia nella storia.

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Gli “alamat”
Per raggiungere le zone aurifere, soprattutto quella di Wawat, senza smarrirsi nel deserto, i cercatori d’oro arabi segnarono l’itinerario con una serie di “alamat”, costruzioni in pietre a secco, erette per non perdersi nell’attraversare una pianura dove ogni direzione è uguale al suo contrario, dominio di miraggi.

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Mancando i punti di riferimento, gli “alamat” erano le sole indicazioni che consentivano di arrivare alle miniere.

 

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Le missioni Castiglioni
Abbiamo percorso molte volte questa pista e, come per i carovanieri antichi, anche per noi gli alamat furono delle sicure indicazioni che ci guidarono attraverso il “vuoto” del deserto.

 

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Sovente erano costruiti su alture che li rendevano visibili anche da lontano.

 

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La distanza intercorrente tra un “alama” (singolare di “alamat”) e un altro è di qualche chilometro.

 

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Tuttavia, lungo ampi spazi ventosi, sono eretti a poche centinaia di metri gli uni dagli altri, in modo da essere visibili anche durate le tempeste di sabbia.

 

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Gli alamat
Alti circa 4-5 metri, sono costruiti con un sapiente incastro di pietre a secco che hanno resistito al vento, arrivando fino a noi ancora in buono stato di conservazione. Sovente la costruzione è stata realizzata con blocchi di granito o di arenaria, probabilmente trasportati da lontano non avendo trovato cave nei dintorni.

 

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Differenti forme
Difficilmente gli alamat sono simili. Elenchiamo le tipologie più comuni rilevate durante le nostre missioni: a piramide…

 

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… a cupola…

 

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… a tronco conico…

 

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… a botte…

 

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L’epoca in cui furono costruiti
La forma e lo stile costruttivo li fanno risalire al periodo medievale islamico. Lo testimoniano anche le scritte arabe, evidenziate con pietre alla base di alcuni alamat.

 

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Un’ulteriore conferma viene dai resti delle abitazioni degli operai che costruirono gli alamat, tra i quali si notano i perimetri di moschee.

 

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Il periodo di percorrenza della pista
Si può supporre che questa pista verso la zona aurifera di Wawat fosse percorsa in periodi più antichi, forse anche in epoca faraonica. Saranno necessarie ricerche più approfondite per trovare evidenze egizie a conferma dell’ipotesi.
Sicuramente fu utilizzata durante il periodo coloniale inglese.

 

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Alcuni alamat, semi distrutti dal tempo, furono sostituiti con bidoni di metallo.

 

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Infatti molti bidoni giacciono a terra e il tracciato è difficile da individuare.

 

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Morire lungo la pista
Se gli alamat riducevano il rischio di smarrirsi, un altro pericolo per chi si recava alle miniere, era rimanere senza acqua. Durante il nostro percorso lungo l’itinerario, non abbiamo trovato pozzi o acque superficiali. Dall’alto delle colline si scorgeva una infinita distesa sabbiosa che si perdeva all’orizzonte.

 

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Nell’ultima missione abbiamo scoperto, in una caverna, i resti di un cammelliere probabilmente morto di sete.

 

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Una mano che spuntava dalla sabbia si era mummificata naturalmente.

 

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Gli arabi della nostra équipe seppellirono le ossa, segnando la tomba con stele, come richiesto dal rito islamico..
Nella “jallabia” che indossava, abbiamo recuperato una lettera datata 1954 che indicava il periodo della tragedia. La morte non era avvenuta per fame (nelle tasche c’erano pezzi di pane), ma per mancanza d’acqua.

 

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Nelle vicinanze trovammo un dromedario mummificato dal calore, adagiato su un fianco. Cadendo, forse ucciso dal morso di un serpente, aveva schiacciato la “ghirba” disperdendo l’acqua. Rimasto privo del prezioso liquido, il cammelliere cercò rifugio nella grotta, dove l’abbiamo trovato dopo più di sessant’anni.

 

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L’ itinerario
La pista terminava in vista del Jebel Umm Nabari: una direttrice importante che, dalla valle del Nilo, conduceva alla ricca regione aurifera di Wawat.

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Presso il Museo Castiglioni è possibile scoprire straordinari reperti etnologici ed archeologici.

Tutte le immagini fotografiche, i disegni e i testi di questo articolo sono di proprietà esclusiva dei fratelli Alfredo e Angelo Castiglioni. Qualsiasi riproduzione, anche se parziale, è vietata. Per ricevere autorizzazione all’utilizzo si prega di contattare il Museo Castiglioni.

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